L’amministrazione del patrimonio e delle dotazioni inizialmente non era comune e ogni monaca rimaneva proprietaria dei propri beni. Intorno alla fine del ‘700 le clarisse di Santa Maria Maddalena aderirono alla regola di Urbano IV che nel 1263 concesse la facoltà di creare e gestire un patrimonio comune: fu applicata pertanto la comunione dei beni, la cui gestione venne affidata alla Badessa coadiuvata dalla Vicaria. Data la ricchezza del patrimonio accumulato, il monastero estese la proprietà su territori sempre più vasti, la cui gestione era esercitata attraverso sindaci e agenti. Questi, appartenenti per lo più alle famiglie d’origine delle suore, curavano i rapporti con i fittavoli e i coloni, occupandosi inoltre di dirimere le cause e le liti che potevano insorgere su diverse questioni. Dopo la soppressione del 1861 e la demanializzazione dei beni, l’amministrazione del monastero cambiò completamente. Ad integrazione delle pensioni percepite per il sostentamento della comunità, furono infatti introdotte varie attività quali la stiratura, la confezione ed il riattamento di paramenti sacri, oltre alla preparazione di dolci su ordinazione, attività quest’ultima in precedenza legata alle festività che prevedevano doni per i collaboratori esterni.